AI e GDPR sono oggi due temi inseparabili per chi gestisce un’impresa moderna. L’adozione crescente di strumenti di intelligenza artificiale, spesso rapida e poco controllata, solleva interrogativi importanti sulla protezione dei dati personali e sulla conformità alle normative europee. Analizziamo quindi i rischi, i vincoli normativi e le buone pratiche per integrare l’AI nei processi aziendali senza compromettere la privacy e la sicurezza delle informazioni.
1. L’intelligenza artificiale è già tra noi: come sta cambiando il lavoro
Negli ultimi due anni, l’intelligenza artificiale ha smesso di essere una tecnologia futuristica per diventare una presenza concreta nel lavoro quotidiano. Il lancio di ChatGPT ha rappresentato un punto di svolta epocale: in pochi mesi, milioni di professionisti in tutto il mondo hanno iniziato a utilizzarlo per scrivere testi, sintetizzare documenti, risolvere problemi o generare codice.
A questa prima ondata di adozione si sono aggiunti strumenti sempre più specializzati, come GitHub Copilot, che affianca gli sviluppatori nell’attività di coding, oppure LLaMA e Claude, che offrono modelli alternativi e open source a quelli proprietari. Molte aziende stanno testando o implementando AI anche per l’automazione delle risposte nei servizi clienti, il supporto nella gestione delle risorse umane, la creazione di contenuti di marketing, l’analisi di grandi dataset e molto altro ancora.
Questo entusiasmo per l’AI è comprensibile: le sue potenzialità in termini di efficienza, velocità e accesso a un know-how distribuito sono reali. Tuttavia, la rapidità di diffusione ha superato in molti casi la consapevolezza dei rischi, soprattutto in ambito privacy e gestione dei dati. E proprio su questo punto è fondamentale fermarsi a riflettere: usare l’AI in azienda è un’opportunità, ma anche una responsabilità.
2. I rischi reali dell’uso improprio dei tool AI
L’uso disinvolto dell’intelligenza artificiale può portare a conseguenze gravi, soprattutto quando i tool vengono alimentati con dati personali, documenti riservati o informazioni aziendali sensibili. È frequente, ad esempio, che un dipendente inserisca in un prompt un estratto di una mail interna, un report contenente dati identificativi o una bozza di contratto con riferimenti a clienti o fornitori.
Il problema è che, in molti casi, queste informazioni non vengono elaborate in modo “usa e getta”, ma possono essere conservate dai fornitori del servizio per addestrare i modelli o per altri scopi non sempre dichiarati in modo trasparente. Inoltre, i server su cui avviene l’elaborazione possono trovarsi in Paesi extra-UE, dove il livello di protezione dei dati non è sempre equiparabile a quello garantito dal GDPR.
L’azienda che utilizza questi strumenti rischia quindi di perdere il controllo sui dati, violare il principio di minimizzazione, compromettere la riservatezza delle informazioni e – nei casi peggiori – incorrere in un data breach con conseguente notifica al Garante e sanzioni.
3. AI e GDPR: cosa impone la normativa europea
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) si applica pienamente anche ai trattamenti automatizzati effettuati mediante intelligenza artificiale. Le aziende devono considerare ogni interazione con un tool AI come un trattamento dati a tutti gli effetti. E come ogni trattamento dati, deve quindi rispettare i principi fondamentali del GDPR.
Il principio di accountability obbliga le imprese a documentare le scelte fatte in materia di sicurezza e protezione dei dati. Inoltre, è necessario garantire trasparenza nei confronti degli interessati, evitando che i dati siano usati per finalità diverse da quelle dichiarate, come l’addestramento dell’AI.
Un altro punto cruciale riguarda il trasferimento di dati verso Paesi terzi. Se l’AI opera su infrastrutture esterne all’UE, l’azienda è tenuta a verificare che siano in atto misure di protezione equivalenti a quelle previste dal regolamento europeo. Infine, l’uso dell’AI in ambiti ad alto rischio (risorse umane, finanza o sanità) può richiedere la redazione di una DPIA. Cioè una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati.
4. AI e GDPR: come usare l’AI in azienda in modo conforme (e intelligente)
L’intelligenza artificiale non è nemica della privacy. Anzi, se adottata consapevolmente, può diventare uno strumento virtuoso per migliorare l’organizzazione aziendale, ridurre i tempi di lavoro e potenziare la produttività. Il segreto sta nel definire un modello di utilizzo responsabile e conforme al GDPR.
Per prima cosa, è fondamentale stabilire policy interne chiare sull’uso dei tool AI. I dipendenti devono sapere cosa è possibile fare e cosa è vietato, in particolare riguardo all’inserimento di dati personali, documenti riservati o contenuti sensibili. Questo tipo di sensibilizzazione può avvenire attraverso brevi corsi di formazione, linee guida operative o una procedura di autorizzazione centralizzata.
Anche la pseudonimizzazione o l’anonimizzazione dei dati prima dell’elaborazione può essere una strategia efficace per ridurre i rischi. In presenza di attività strutturate e ripetitive, può essere utile coinvolgere il DPO o un consulente privacy per la redazione di una DPIA. Questi potranno così mappare i trattamenti, stimare i rischi e adottare misure di mitigazione.
Infine, un consiglio spesso sottovalutato: verificare i termini d’uso dei servizi AI. Molti strumenti gratuiti o freemium prevedono la conservazione dei dati inseriti e il loro utilizzo per finalità proprie. Solo una lettura attenta delle condizioni contrattuali permette di sapere davvero dove vanno a finire i dati aziendali.
Adottando queste pratiche, l’uso dell’AI non solo diventa conforme, ma anche più efficiente, consapevole e strategico. Automatizzare un processo, ottenere suggerimenti da un linguaggio naturale o generare contenuti con l’aiuto di un algoritmo non significa rinunciare alla protezione dei dati. Anzi significa farlo nel rispetto delle regole, con un vantaggio competitivo in più.