Ci stiamo spossessando dei dati personali? Abbiamo rinunciato alla privacy? La realtà direbbe di sì, perché oggi, chi vive connesso, deve necessariamente consegnarsi a chi fa funzionare il terminale su cui digitiamo.
La necessità di proteggere i dati
Così come la paura di bagnarsi per la pioggia si dice nacque quando l’uomo scoprì l’ombrello, ben possiamo dire che la necessità di proteggere i dati personali è sorta quando ci siamo resi conto che possono andare in mano ad altre persone e “staccarsi” da un individuo.
Possiamo quindi anche ben dire che la necessità di proteggere i dati personali viene avvertita per la prima volta quando ci siamo resi conto che questi possono essere oggetto di attività ultronea rispetto a quella per cui vengono conferiti. Inoltre, possono finire in mano a terzi. Questi possono usarli anche illegalmente o in maniera non conforme alla volontà della persona che si è spossessata di questa parte del suo patrimonio personale.
Il dato personale: trasferibile, condivisibile, ma riservato
Il dato personale è, quindi, al contempo un dato trasferibile per essenza e un’informazione relativa ad un aspetto riservato. Per sua natura, però, non destinato alla condivisione intesa come messa a disposizione di altri individui. Ma ciò accade perché l’uomo è destinato alla comunicazione e alle interazioni; deve poter essere chiamato con il suo nome e contattato per lavoro o divertimento.
Più aumenta la mole di dati e la possibilità di trasferirli, più aumenta la necessità di proteggerli. Questo, specialmente, da quando ci siamo resi conto che sono diventati un materiale prezioso, molto ricercato sia con mezzi leciti che, purtroppo sempre più, illeciti. Il dato è la materia prima della rete, il carburante che permette alle macchine di muoversi, interagire, conoscere l’utente. È ed è anche, alla base di algoritmi sempre più sofisticati che porteranno ancora di più all’aumento delle loro tipologie e di usi.
I dati personali nell’era dei social
Aggiungiamo pure che, nell’epoca digitale, anche ogni like su un social o accesso ad un sito è un dato personale che noi mettiamo a disposizione di qualcuno che, quasi mai, è persona conosciuta. Possiamo davvero fidarci di chi è dall’altra parte del monitor? È una persona fisica o è una società? E in quest’ultima ipotesi chi fa parte del sodalizio o chi viene incaricato di conservare una parte di noi?
Sono interrogativi che possono apparire inquietanti e che, con troppo semplicismo, guardiamo bene dal porci quando, con un click, dichiariamo di accettare condizioni, talvolta contenute su un lenzuolo, fatte di parole scritte in lingua avvocatese che non tutti padroneggiamo. Talvolta, con quel click, diciamo al nostro misterioso interlocutore, “fai ciò che vuoi con il mio patrimonio personale, composto di dati, personalità e di interazioni.”
Per una visione più ampia > Quattro amici al bar… del metaverso
Ci stiamo “spossessando” dei dati personali?
Ci stiamo spossessando dei dati? La realtà direbbe di sì, perché oggi, chi vive connesso per necessità o piacere, deve necessariamente consegnarsi a chi fa funzionare il terminale su cui digitiamo. In tal senso, da più parti si dice abbiamo abdicato alla privacy e ci facciamo governare dalla algocrazia del momento.
Ma proviamo a riprenderla almeno un po’ questa privacy o quantomeno a divenire consapevoli dell’importanza, prima di tutto per noi stessi, dei nostri dati personali. Anche perché non dobbiamo dimenticare che la circolazione ed il trasferimento dei dati in rete, cioè quello che oggi comprende forse quasi il cento per cento del flusso, sono concetti per definizione internazionale poiché tutto avviene in rete. Siamo quindi in uno spazio che travalica quello dei nostri confini fisici.
Per approfondire > La patrimonializzazione del dato: contratti iniqui conclusi ogni giorno