GDPR e medici: quando le ricette girano su WhatsApp (senza privacy)

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GDPR e medici: lo studio dell’Ordine dei medici di Firenze rivela che WhatsApp è lo strumento più usato dai medici per comunicare coi pazienti. Con scarsa attenzione alla privacy.

GDPR e medici: quando la ricetta passa su WhatsApp

Che la pandemia abbia esteso ulteriormente, nei pochi spazi dove ancora non esisteva, l’uso degli strumenti digitali di comunicazione (dalle chat, alla mail alla diagnosi a distanza grazie alla telemedicina) è un dato di fatto. Insomma il dato balza agli occhi di tutti e non servono (anche se se ne trovano migliaia online) ulteriori studi a supporto di questa affermazione. Quel che forse è venuto meno spontaneo approfondire – mentre la discussione si incentrava sul portato di novità e rischi conseguente all’adozione di massa della pratica dello smart working – è come è cambiato l’uso degli strumenti digitali nel mondo della sanità.

In nostro soccorso arriva lo studio condotto dall’Ordine dei Medici chirurghi e odontoiatri di Firenze in collaborazione con DataLifeLab di Firenze sull’uso della messaggistica a distanza nel rapporto medico / paziente. Prima di “dare i numeri” ne diamo uno, che introduce il tema app di messaggistica e privacy: l’84% dei medici invia ricette ed esami tramite Whatsapp.

Per saperne di più > Sui dati sanitari non si scherza: nuova sanzione del Garante

Medici, pazienti e digitalizzazione

Lo studio condotto dall’Ordine dei Medici e Chirurghi odontoiatri di Firenze ha elaborato le risposte di 1541 medici professionisti. Tra questi:

  • il 79,2% ha dichiarato di comunicare coi propri pazienti tramite cellulare;
  • il 22,6% ha addirittura dichiarato che tale scelta ha comportato la necessità di possedere più telefoni cellulari;
  • soltanto il 31% però ha un cellulare esclusivamente dedicato al lavoro (dato che aumenta nettamente se invece si vedono le risposte dei medici più giovani, assai più avvezzi a tenere separati lo smartphone privato e quello lavorativo);
  • il 6,6% dei medici invece predilige l’uso delle email;
  • soltanto lo 0,6% non dispone invece di alcuno strumento digitale e comunica coi pazienti solo verbalmente.

Il 47,6% degli intervistati ha dichiarato che è stata proprio la pandemia a rendere necessario l’uso di app di messaggistica. Quasi un medico su due infatti non utilizzava strumenti di comunicazione digitale diretta coi propri pazienti prima dell’emergenza Covid.

La piattaforma più apprezzata è Whatsapp (84,3%), gli SMS tradizionali sono usati dal 50,9% dei medici, solo il 14% invece utilizza Telegram o Messenger.

Per approfondire > Medici di base: step base per la conformità al GDPR

Le app di messaggistica semplificano la comunicazione: ma la privacy?

“La messaggistica tramite cellulare – ha affermato Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze e provincia – permette di dare in tanti casi risposte rapide e tempestive ai pazienti, sciogliendo dubbi e timori, andando incontro alle esigenze più varie. E’ importante tuttavia non perdere di vista il confronto umano, di persona, che resta il centro di questa professione. Occorre anche porre attenzione al tema della privacy e restare aggiornati sulle nuove opportunità di comunicazione che si presenteranno nei prossimi anni per essere sempre al fianco della popolazione e nei loro bisogni di cura”.

Veniamo così alle dolenti note, l’altra faccia della medaglia: i vantaggi delle app di messaggistica sono evidenti. Ma la privacy? Quale rapporto c’è tra i medici e il GDPR?

Dallo studio emerge che i medici che utilizzano Whatsapp per comunicare coi pazienti, lo fanno in maniera completamente disinvolta per:

  • inviare prescrizioni (20%);
  • fissare appuntamenti (39.8%);
  • valutare esami e consigliare terapie (42%);
  • scambiare informazioni cliniche su pazienti con altri colleghi (56,1%).

Insomma, i dati che i medici fanno circolare sulle chat sono estremamente sensibili, ma a questa tendenza non si è affiancata, di pari passo, una maggiore attenzione alla protezione dei dati e alla privacy dei pazienti. Ad esempio, quasi la metà dei medici non ha frequentato corsi di formazione su trattamento e consenso al trattamento dei dati negli ultimi 3 anni. E va considerato anche il risvolto opposto: moltissimi sono stati i medici che hanno denunciato come il ricorso alle app di messaggistica abbia avuto un effetto molto impattante sulla propria privacy e nella vita privata.

Il Garante a favore dell’invio dematerializzato delle ricette. Ma non tramite chat

Il Garante, in piena pandemia, ha affrontato il tema dell’invio dematerializzato delle ricette nell’ambito del parere sul decreto del MEF sul punto. Da questo punto di vista, dato per assunto il contesto eccezionale di quel periodo, il Garante si è espresso a favore dell’invio dematerializzato delle ricette.

“Non sussistono impedimenti legati alla protezione dei dati personali nell’individuazione con tali modalità alternative alla consegna del promemoria cartaceo della ricetta elettronica, evidenziando la possibilità di prevedere canali digitali, alternativi alla stampa cartacea, rispettosi della disciplina in materia di trattamento dei dati sulla salute”.

Ovviamente la conformità al GDPR è un sottointeso di questa affermazione. Ecco perché, nell’elencare poi gli strumenti tecnici utili all’invio dematerializzato delle ricette, il Garante non ha menzionato Whatsapp né altra app di messaggistica. Il motivo? In termini di protezione dei dati le app di messaggistica presentano notevoli problematicità che richiedono di mettere in atto una serie di misure di protezione dei dati.

Per saperne di più > Sanzionato il medico che appendeva le ricette dei pazienti fuori dalla finestra: le mollette da bucato non sono conformi al GDPR


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