Iscrizione ai social e app: se il rapporto tra social e utenti è un contratto a tutti gli effetti, i minori possono sottoscriverlo?
Se è gratis, il prodotto sei tu
La premessa è l’ormai ben noto concetto che se un qualcosa ti viene offerto gratis, il prodotto sei tu. È una legge di mercato ben nota e che trova la sua piena applicazione sulla rete. Seconda premessa: l’iscrizione ad un social network o l’utilizzo di una app sono giuridicamente parlando dei contratti. In quanto tali, sono disciplinati dalla normativa vigente che, salvo rare eccezioni in cui i fornitori scrivono un contratto specifico, è il Codice civile. Il principio è stato enunciato per la prima volta dal TAR del Lazio, con una sentenza confermata dal Consiglio di Stato. A seguito di tali sentenze Facebook ha dovuto modificare la frase di benvenuto da “è gratis e lo sarà sempre” con “è veloce e semplice.”
Il principio è stato ribadito anche da altri importanti sentenze tra cui, in particolare, una della Corte di Appello de L’Aquila. La Corte che ha deciso sulla richiesta di risarcimento danni da parte di un utente che si era visto chiudere il profilo più volte a causa della pubblicazione di post considerati contrari agli standard della community unilateralmente da parte di Facebook. Il provvedimento della Corte abruzzese riporta i termini negoziali usati da Facebook (oggi Meta), secondo cui anziché richiedere all’utente un pagamento per l’utilizzo di Facebook o degli altri prodotti e servizi coperti dalle presenti Condizioni, Facebook riceve una remunerazione da parte di aziende e organizzazioni per mostrare agli utenti inserzioni relative ai loro prodotti e servizi.
Per approfondire > L’accesso ai social: i poco considerati risvolti giuridici
Facebook è un’immensa banca dati per inserzionisti
Il sistema è quello noto che, purtroppo, sfugge all’utente specialmente se non è a conoscenza dei meccanismi di mercato e ritiene l’attività in rete solo un passatempo o un gioco. In parole semplici Facebook non cede (perlomeno così dichiara) i dati degli utenti ai suoi inserzionisti, ma mette a loro disposizione un’immensa banca dati. Questa viene quotidianamente rimpinguata di altre informazioni dal popolo della rete che ha accettato di ricevere contenuti personalizzati sulla base dei propri interessi. Interazioni, opinioni, discussioni, messaggi, like, fotografie si aggiungono ai dati di contatto e a tutto ciò che, di nostra sponte, mettiamo a disposizione di chi è dall’altro lato del monitor e che è, non dimentichiamolo, la controparte contrattuale dell’utente.
Per approfondire > La patrimonializzazione del dato: contratti iniqui conclusi ogni giorno
Se il rapporto social – utente è un contratto a tutti gli effetti, i minori possono sottoscriverlo?
Da tutto ciò nascono alcuni interrogativi a cui verosimilmente dovrà essere il legislatore a dare una urgente risposta. Nel frattempo è importante che siano anche tutti gli operatori della rete a porsi domande. Ad iniziare, ad esempio, da chi crea app di uso quotidiano ma che richiedono l’accettazione da parte dell’utente di quello che, ribadiamolo una volta di più, è un contratto che pagato con i dati personali. Un bene che sappiamo essere preziosissimo.
Il nostro ordinamento stabilisce che la capacità di agire, che comprende appunto quella di concludere contratti con disposizioni patrimoniali, si raggiunge al compimento dei diciotto anni. Il limite minimo di età per l’iscrizione ai social è invece indicato a quattordici anni, addirittura due in meno di quanto previsto dal GDPR. Di fatto ben sappiamo che migliaia, se non milioni, di adolescenti e anche bambini, si iscrivono sui social semplicemente mentendo sull’età. Controlli pari a zero. Su TikTok, la piattaforma che va per la maggiore tra i giovanissimi e che ha creato star bambini che furoreggiano, il limite è tredici anni. È calcolabile il numero di minori che ogni giorno scaricano e utilizzano app?
Milioni di minori hanno sottoscritto contratti con i social senza capacità di agire
Conseguenze: ci troviamo con milioni di utenti, senza capacità di agire, che hanno concluso contratti pagati con i loro dati personali, concessi in uso ai gestori delle piattaforme. Eppure l’articolo 1425 del Codice civile chiaramente statuisce che il contratto concluso da persona incapace di contrarre è annullabile. Possiamo quindi iniziare ad avanzare dubbi sulla validità di contratti sottoscritti da minori incapaci di contrarre e che hanno pagato con la loro identità digitale (e forse anche quella di genitori e amici) e sulle conseguenze anche a livello di un trattamento dati che ben potrebbe essere segnalato come non rispettoso del GDPR al garante da parte, ad esempio, dei genitori, di una scuola, ma anche da parte di associazioni di consumatori.
Ovviamente il problema si pone non solo per i big players della rete, ma anche per le piccole aziende che mettono online un gioco o una app che richiede dati per potervi accedere. Esiste la certezza che non sia un minore a scaricarla ed utilizzarla?
Una nuova sfida per i consulenti privacy.